Giornata mondiale per la libertà di stampa, l'Unric intervista il presidente Giulietti
Oggi ricorre la Giornata mondiale per la libertà di stampa indetta dall’Onu. In questa occasione, su richiesta dell’Ufficio europeo di informazione delle Nazioni Unite a Bruxelles (UNRIC), il presidente della Federazione nazionale della Stampa italiana, Giuseppe Giulietti ha rilasciato l’intervista che riproponiamo di seguito. L'intervista sarà diffusa da UNRIC attraverso il suo sito (www.unric.org/it) e le sue piattaforme online, Facebook (www.facebook.com/unrictalia) e Twitter (@UNRIC_Italia).
Quale significato ha oggi la giornata del tre maggio dedicata alla stampa, voluta dall’Onu?
Mantiene un grande valore simbolico perché costringe tutti a riflettere su una libertà sempre a rischio, ancora oggi negata a milioni di persone.
A quali paesi si riferisce?
C’è solo l’imbarazzo della scelta. La Turchia è diventata un grande carcere per i giornalisti: sono oltre 150 i cronisti ancora in galera, in attesa di processi che non arrivano mai. Stessa situazione in Egitto dove i cronisti vengono arrestati con l’accusa di terrorismo per aver fatto il loro mestiere raccontando complicità e corruzione dei regimi. In Siria, nello Yemen, nel Sudan sono i signori della guerra e del terrore a colpire i cronisti. In Cina le galere sono piene di blogger non graditi al regime.
La situazione di questi paesi è stata spesso segnalata dai rapporti internazionali e dalla stessa commissione speciale dell’Onu; ma quali sono i pericoli che si corrono nei paesi che si considerano immuni dai rischi?
Purtroppo sono sempre di meno i paesi che possono essere considerati immuni da questo rischio. Basti pensare agli attacchi del presidente Trump ai media americani o alle ripetute minacce, non solo verbali, rivolte ai giornalisti russi. Regimi mafiosi e corrotti non possono sopportare le luci dell’informazione che impediscono il malaffare: il Messico è uno degli esempi più tragici.
E l’Italia?
Non è un’eccezione. Oggi sono 19 i cronisti costretti a vivere sotto scorta per le minacce ricevute da mafia, camorra, gruppi di estremismo politico. Chi indaga e scrive sugli appalti truccati, sulle discariche abusive, sulle alleanze tra pezzi dello Stato e le mafie, si ritrova nel mirino, e non solo in senso simbolico.
Cosa fa lo Stato?
Ci sono magistrati, poliziotti, carabinieri, amministratori, giornalisti, sacerdoti che non soltanto non hanno ceduto ma hanno reagito difendendo la legalità e la libertà d'informazione. Il ministero degli Interni, caso unico in Europa, ha istituito un osservatorio per valutare ogni singola minaccia contro i giornalisti e ha predisposto un piano di prevenzione e di repressione del fenomeno.
E’ sufficiente?
Non ancora. Servirebbe un’azione legislativa volta a inasprire le pene contro chi “molesta” il diritto di cronaca e il diritto dei cittadini a essere informati nel modo più completo. Sarebbe auspicabile che un’analoga iniziativa fosse assunta anche nella sede Onu.
Come ricorderete in Italia la giornata del 3 maggio?
Le iniziative sono molte e coinvolgeranno diverse regioni, a testimonianza di una sensibilità crescente, soprattutto nelle scuole. Ne ricordo alcune. A Reggio Calabria la Federazione della stampa e l’associazione regionale dei giornalisti dedicano la giornata alla libertà dalla precarietà e dalla paura: i giornalisti nel mirino delle mafie sono spesso anche colleghi e colleghe precari, senza contratto, pagati pochi euro ad articolo. A Roma la Federazione della stampa, l’Ordine professionale, l’Associazione Articolo 21 (della Costituzione), il sindacato dei giornalisti della Rai, incontrano i cronisti turchi, curdi, slovacchi, maltesi, siriani; e quelli italiani costretti a una vita 'sotto scorta': insieme per ribadire che il bavaglio, di qualsiasi natura e colore, toglie l’ossigeno e stronca alla radice la possibilità di raccontare e dunque di alimentare i processi democratici. Infine l’Unione nazionale dei cronisti incontrerà nel Veneto i familiari dei giornalisti vittime delle mafie e del terrorismo.
Ci sono pericoli all’orizzonte?
Da molte parti sta teorizzando la 'democrazia illiberale', quella praticata dal presidente ungherese Orban. Si punta a una società senza corpi intermedi, senza opposizioni, senza mediatori, senza cronisti capaci di fare inchieste e domande scomode. Gli stessi processi elettorali rischiano di essere condizionati da una rete sempre più controllata da centri 'invisibili', nelle mani di coloro che orientano l’economia e la finanza. Questi processi sono già in atto e purtroppo non c’è ancora un’adeguata consapevolezza da parte dei governi, dei parlamenti, dalle stesse associazioni dei giornalisti. La giornata Onu del 3 maggio può servire a creare un legame tra quanti credono nella libertà dell’informazione e nel diritto della comunità a essere informata.