EQUO COMPENSO: DOPO TAR E CONSIGLIO DI STATO, VALE SOLO IL CONTRATTO
Il Sigim comunica:
Il Consiglio di Stato, in data 16 marzo 2016, ha depositato la sentenza con la quale ha confermato, “con motivazione parzialmente diversa”, la sentenza del Tar del 2015 che aveva annullato la delibera sull'equo compenso nel lavoro giornalistico prevista dall’art. 2 della legge 233/2012.
Il Consiglio di Stato ha sostenuto che la ratio della legge sia quella di “apprestare una disciplina retributiva per tutte le forme di lavoro autonomo giornalistico, in quanto connotate da alcuni caratteri del lavoro subordinato e per tanto meritevoli di tutele assimilabili a quelle ad esso assicurate” essendo la "posizione lavorativa" priva in sostanza di "connotati libero-professionali”.
Entrando nei contenuti della delibera sull’equo compenso, il Consiglio di Stato ha eccepito che:
- per i quotidiani, a fronte di una prestazione da 145 a 288 articoli all’anno, il trattamento economico pari al 60% del trattamento economico minimo realizza “una pesante riduzione proporzionale del corrispettivo”;
- la delibera non dà conto della “coerenza” con la disciplina della contrattazione di settore;
- non è stata considerata e valutata la “qualità del lavoro”.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto, però, di non accogliere la censura del Tar circa il sistema di determinazione “a pezzo” dei compensi, sostenendo che un computo dell’equo compenso basato sul numero degli articoli non è contrario ai principi della legge, “in quanto si tratta di un modo presuntivo di commisurare una quantità di prestazioni media mensile/annuale al correlato corrispettivo minimo garantito”.
Infine, il Consiglio di Stato ha ritenuto che nella rivisitazione della delibera dovrà essere anche valutata la “necessità e/o opportunità di comprendere o meno nell’equo compenso il cosiddetto terzo scaglione” (cioè oltre 289 articoli l'anno per uno stesso committente resi in regime di lavoro parasubordinato).
Il Consiglio di Stato ha quindi ristretto e delimitato le valutazioni del Tar.
Innanzitutto nello stabilire che l’equo compenso debba riguardare le prestazioni autonome giornalistiche che siano connotate da alcuni caratteri del lavoro subordinato e proprio per questo meritevoli di tutela.
In secondo luogo nel confermare che l’equo compenso possa essere determinato “a pezzo” e basarsi sul numero degli articoli.
In conclusione, il Consiglio di Stato non ha sostenuto che i compensi minimi definiti nella delibera (20,8 euro a pezzo) siano iniqui. Si è limitato a dire che è iniquo il compenso previsto per le prestazioni superiori a 144 articoli all’anno e inferiori a 288 (il cosiddetto demoltiplicatore), invitando a considerare l’opportunità di definire anche i compensi per le prestazioni superiori a 288 articoli l’anno.
Le sentenze del Tar e del Consiglio di Stato non cancellano ovviamente gli accordi vigenti nel CNLG tra giornalisti ed editori (pagg. 101-104) che sono applicabili a tutte le forme di lavoro autonomo che implicano un'effettiva continuità di rapporto con il committente.
Il CNLG vigente stabilisce infatti esplicitamente che nelle ipotesi di produzione di contenuti informativi superiori ai 144 pezzi devono essere pattuiti compensi aggiuntivi, tenendo conto dei parametri e dei minimi previsti dall’accordo per la prima fascia di prestazione.
Naturalmente i principi stabiliti dal Consiglio di Stato dovranno essere esaminati anche al tavolo contrattuale Fnsi-Fieg, oltre che nella commissione governativa, nel caso in cui dovesse essere ripristinata.
La formazione e la riconvocazione di quest’ultima sono infatti subordinate all’approvazione della legge sull’editoria, essendo la precedente commissione scaduta per decorrenza dei termini.
Ancona, 22 marzo 2016