GIORNALISTI, UNA CARTA PER LA DIGNITA' DELLA VITA IN CARCERE CORRETTEZZA DELL'INFORMAZIONE E DIRITTO ALL'OBLIO I PRINCIPI
Fin dove ci si può spingere per il diritto di cronaca quando si parla di chi ha commesso un reato? Per quanto una colpa può continuare a segnare la vita pubblica di un ex detenuto? E quanto la superficialità dell’informazione può trasformasi in una seconda, collettiva, condanna? Da questi interrogativi nasce la Carta del carcere e della pena, codice deontologico per i giornalisti che si occupano di persone private della libertà, emanata nel 2007 dagli Ordini di Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, adottata negli anni da Basilicata, Sicilia, Liguria, Sardegna e Puglia, e da ieri firmata anche dal Consiglio Nazionale dell’Ordine.
“A volte basterebbe il buon senso”, dice Gerardo Bombonato, presidente della sezione dell’Emilia Romagna, in una conferenza stampa eccezionalmente all’interno del carcere di Regina Coeli. “Eppure - spiega - è facile usare stereotipi quando ci si riferisce al carcere come all’immigrazione, al disagio sociale, ai rifugiati politici. La Carta nasce dalla necessità che il giornalismo usi un linguaggio 'correttò anche in questo ambito. Sono stati volontari e detenuti stessi ad aprirci gli occhi”. Non solo condannati, ma anche agenti di polizia, avvocati, magistrati e poi le famiglie che rimangono fuori: la 'mala-informazionè può fare danni gravissimi. “Tanto più un caso è eclatante - commenta Giovanna Di Rosa, membro togato del Csm - tanto più si può muovere l’opinione pubblica e politica”, sino a “delegittimare e svuotare di significato un intero percorso su cui tutti, cittadini e stato, stanno investendo”.
Perchè, aggiunge il direttore di carteBollate Susanna Ripamonti, “si continua superficialmente a definire “liberò un detenuto quando invece è in regime di semilibertà? Perchè invece non dire che le recidive di reato, che in Italia sono al 70%, calano al 28% quando si applicano misure di pene alternative?”. E ancora, casi eclatanti come Pietro Maso, la cui liberazione fa notizia dopo 22 anni più dei suicidi in cella. O Vallanzasca, che perde il lavoro perchè un giornalista lo ha scoperto, quando invece un ex detenuto 'occupatò significa più sicurezza per tutti. Proprio per facilitare il rapporto informazione-carcere, aggiunge Luigi Pagano, vicedirettore del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, “riapriremo gli uffici stampa negli istituti penitenziari. Ci rendiamo conto che il carcere deve essere più trasparente” per “combattere stereotipi consolidati”. Nata dunque per “informare gli informatori” la Carta, spiega Bombonato, “si ispira a due principi: la non ammissione dell’ignoranza e l’ineluttabilità del diritto all’oblio, non per casi di interesse nazionale come il caso Moro ma per quelle piccole storie, non edificanti, che sono errori di vita già scontati”. Questa seconda parte, però, lamentano gli addetti, nella versione firmata dal Consiglio Nazionale dell’Ordine non c'è. “La Carta si può integrare”, assicura all’Ansa il segretario nazionale Giancarlo Ghirra. “Chi ha steso il testo - dice - ha saltato un passaggio, forse per la fretta di essere pronti oggi.
Proporrò io stesso che venga modificata al Consiglio Nazionale del mese prossimo. Ovviamente il diritto all’oblio va coniugato con il diritto di cronaca. Sono due temi che hanno pari dignità e vanno salvaguardati entrambi con intelligenza".