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20/10/2009 regionali

Identità sospese - Presentata a Pescara l’indagine sulle condizioni di lavoro di collaboratori e free lance

PESCARA – Sfruttati, sottopagati, con carichi di lavoro enormi, costretti spesso a barcamenarsi tra i settori più diversi della professione, lontani dal sindacato. È il ritratto dei giornalisti precari che emerge dalla ricerca sociale “Identità sospese”, condotta dall’Associazione Stampa Abruzzese e presentata in una tavola rotonda lo scorso 10 ottobre a Pescara. L’elaborazione dei questionari somministrati a 118 collaboratori e free lance delle realtà editoriali dell’Abruzzo mette in evidenza condizioni lavorative drammatiche che, pur se analizzate in un contesto locale, diventano emblema dell’attuale situazione italiana. Lo scenario abruzzese si delinea con caratteristiche più o meno identiche anche nel resto d’Italia, dove l’esercito dei giornalisti precari, senza tutele, è sempre più numeroso, sintomo di una crisi generale del mercato del lavoro già in atto, e aggravata ulteriormente dalle difficili condizioni economiche del Paese, e di una crisi profonda della professione giornalistica.
Il valore extraterritoriale della ricerca, curata da Patrizia Pennella, giornalista abruzzese e consigliere nazionale Fnsi, è stato sottolineato dallo stesso segretario nazionale Fnsi, Franco Siddi, ospite alla presentazione di Pescara “l’indagine – ha affermato – ci invita a riflettere e non solo. Da essa dobbiamo far discendere azioni concrete che ci conducano alla riaffermazione dei diritti dei colleghi precari e alla restituzione di un’esperienza professionale di qualità e non mutilata”. I numeri della ricerca confermano l’analisi fatta da Siddi che ha parlato anche della complessità di includere i giornalisti precari in un’unica categoria. La realtà vede infatti tipologie di precariato tra le più diverse: quella dei giornalisti poverissimi, quella dei giornalisti che svolgono la professione come secondo lavoro, quelli che la svolgono alla ricerca di una stabilità che non arriva, volendo fare della professione il loro primo lavoro e che, non riuscendoci, restano sospesi nella loro identità. Poi ci sono i free lance propriamente detti, con una loro, seppur limitata, forza contrattuale, i collaboratori autonomi, quali ad esempio i corrispondenti di periferia, fino agli abusivi che svolgono un lavoro dipendente a tutti gli effetti, ma che non è regolarizzato come tale, “tenuti a bagnomaria nelle redazioni”. Una varietà accomunata da “una condizione di sfruttamento che diventa a vita”.
La questione che la ricerca pone alla riflessione è anche, in questo quadro, quella della qualità del prodotto giornalistico e con esso dell’informazione in generale. Dallo studio emerge, tra le conseguenze della precarizzazione della professione giornalistica, il dilagare di quella che è stata definita da Pennella “multisettorialità”. “Spinto dalla necessità di guadagnare denaro – spiega Pennella nel volume della ricerca – il collaboratore smercia la stessa notizia ad un quotidiano, a un’agenzia di stampa, alla radio locale che lo chiama per il notiziario. E magari la sfrutta anche per lavorarci come ufficio stampa dell’ente o del politico che gli ha affidato un contrattino volante. Il risultato, sul piano della diffusione della notizia – continua – è devastante. In questo modo i canali di trasmissione e di valutazione si riducono drasticamente e l’omologazione si fa sempre più marcata”. L’informazione diventa così più attenta al consumo che alla qualità della notizia e a rimetterci è anche l’utente finale che non ha più parametri di confronto.  
E per rispondere alle esigenze di collaboratori e free lance, che bene la ricerca ha illustrato, per il presidente Fnsi Roberto Natale occorre “mettere mano alle regole generali, partendo dalla riforma dell’accesso alla professione attraverso un’unica via possibile che è quella della formazione di livello universitario. Intanto il sindacato – ha concluso – sta dando un segnale chiaro che deve essere motivo di fiducia: ha scelto, pur in un momento di crisi, di non asserragliarsi nella difesa esclusiva di chi, nel fortino ora assediato, c’era entrato in anni lontani e più facili, ma ha fatto una scelta di solidarietà nei confronti dei colleghi precari, lo dimostra questa ricerca e la nascita dei coordinamenti dei collaboratori e free lance dentro e non contro le associazioni regionali”.

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