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01/10/2008 regionali

Le osservazioni dell'Unci alla Commissione Giustizia della Camera per modificare il Ddl Alfano


L'Unci (Unione nazionale crionisti italiani), gruppo di specializzazione della Fnsi, ha presentato alla presidente della Commissione Giustizia della Camera, Giulia Bongiorno, le osservazioni dei giornalisti italiani al Ddl Alfano. Il Ddl in questione, contestato dagli organismi di categoria per il suo potenziale distruttivo del diritto di cronaca, è oggetto di una serie di manifestazioni in tutta l'Italia che, dopo aver toccato il 26 luglio Senigallia, oggi è approdato a Forlì. Ecco le considerazioni tecnico-giuridiche, curate dal collega del Sole 24 Ore, Alessandro Galimberti, trasmesse dall'Unci alla Camera, per motivareil dissenso dei giornalisti italiani al Ddl Alfano e chiedere profondi cambiamenti dell'attuale testo. 

"L’intervento legislativo ad iniziativa del Governo in materia di rapporto tra segreto processuale e diritto di cronaca presenta aspetti ad alta criticità. L’approccio del legislatore appare orientato a privilegiare unicamente i diritti di presunta privacy delle persone indagate, e trascura invece del tutto le esigenze di trasparenza del processo (principio di civiltà, prima ancora che giuridico e costituzionale), oltre a quelle relative al diritto/dovere di cronaca.
Una premessa storica è necessaria per inquadrare l’esito, ad oggi, del dibattito politico/parlamentare. L’intervento legislativo è stato preparato da una prospettazione mediatica secondo cui, per finalità scandalistiche prima ancora che informative, sarebbero state compiute numerose, palesi e intollerabili “violazioni del segreto” d’indagine. Si tratta di un’affermazione falsa.  Ad eccezione di pochi episodi marchiani (peraltro già perseguibili e punibili con la disciplina vigente) gli atti sulle grandi inchieste politico/sportive/finanziarie degli ultimi tre anni sono stati pubblicati senza alcuna violazione di legge, trattandosi di atti depositati, quasi sempre tra l’altro ai sensi dell’art 415bis cpp (atto di chiusura d’indagine preliminare), e quindi “doppiamente” dissecretati , perché conosciuti dalle parti coinvolte e perché  conclusivi dell’inchiesta.
Scardinare il principio secondo cui gli atti “definitivi” di indagine escono dal circuito segreto della magistratura inquirente (e quindi sono nella disponibilità delle parti, e pertanto sono pubblicabili) porta a una grave e irrimediabile deviazione dalle garanzie poste a tutela del cittadino indagato (superfluo ricordare qui che i processi secretati hanno caratterizzato i regimi totalitari del secolo scorso).Una lettura di sistema e non parziale dei Codici e un’occhiata ai lavori preparatori rendono chiaro e incontestabile che:
* il segreto di indagine è finalizzato alla semplice e sola tutela dell’indagine stessa;
* la trasparenza degli atti e dell’attività di indagine è strutturata come una garanzia dell’indagato (si veda per tutti l’art 329.3 par a) del cpp, che subordina l’estensione del segreto chiesta dal pubblico ministero al consenso dell’indagato).

Fatte queste premesse, non si può ignorare che la pubblicazione delle grandi inchieste abbia coinvolto episodicamente anche terze persone estranee, e fatti non pertinenti. Ma questo, come noto, è dovuto alla mole degli atti contenuti nelle ordinanze di custodia cautelare e nei provvedimenti cautelari di natura patrimoniale richiesti da alcune Procure e adottati dai competenti Gip.
In particolare tali documenti, redatti con il ricorso indiscriminato al copia e incolla, hanno finito per contenere una quantità di dati che, ammesso fossero utili alla formazione del convincimento del giudice, certo erano eccedenti rispetto alle loro finalità giuridiche e procedimentali.
A completare l’opera di eccessi, poi, non è mancato il sostegno di alcune frange della stampa, responsabili, se non di illeciti penali, quantomeno di violazioni alla deontologia professionale (come tali perseguibili) e di lesioni di diritti individuali (molto spesso, peraltro, già azionati in sede civile).
Tuttavia per limitare gli abusi senza alterare l’equilibrio delicatissimo tra diritti individuali (di rispetto della dignità, e non già della privacy, che a fronte della sospetta commissione di un reato viene notevolmente ridotta per effetto della reazione sociale al fatto antigiuridico: si considerino  p.es. ipotesi di omicidio, rapina, sequestro, terrorismo, violenza sessuale) e diritti costituzionali (all’informazione) appare sufficiente intervenire sulla disciplina di produzione degli atti prima del loro deposito.
Pertanto è del tutto condivisibile la prospettata modifica dell’art. 292 cpp, laddove si prevede che il Gip non possa più inserire la trascrizione delle intercettazioni telefoniche nell’ordinanza di applicazione della custodia cautelare, salvo ovviamente il dovere di motivare la misura con il richiamo sintetico ai suoi contenuti.
Sono invece da respingere con forza i tentativi di delimitare i confini del diritto/dovere di cronaca con interventi legislativi al limite della legittimità costituzionale. L’innalzamento delle pene per la pubblicazione arbitraria di atti (684cp) è del tutto spropositata, versando per di più in ambito di contravvenzioni penali, e neppure di delitti.
Allo stesso modo appare di fatto censoria l’introduzione della responsabilità penale dell’ente (cioè dell’azienda editrice) con un’analogia del tutto fuorviante rispetto alle fattispecie ispiratrice della legge 231/2001; questa era stata calibrata sul fatto illecito del management e su tipologie di illecito ad alto contenuto di dolo o di colpa: nulla a che vedere, quindi, con l’esercizio del diritto costituzionale di cui i giornalisti sono portatori.
Vale la pena ricordare che la tutela giurisdizionale per le persone offese da violazione di privacy (ma anche diffamazione) commesse attraverso la stampa già opera, e con risultati non trascurabili, sul piano civilistico, attraverso azioni di risarcimento patrimoniale. Su questo piano – cioè di contenzioso privato - è corretto che vengano mantenuti l’equilibrio e i correttivi dinamici ad eventuali errori e abusi; il rango equivalente dei diritti in gioco, tutti di livello costituzionale, non consente di operare una scelta discriminatoria, tanto più attraverso una legge ordinaria.
In ultimo l’Unci sottolinea il persistere – aggravato nel ddl in esame - delle anomale interferenze di altri poteri nella gestione degli illeciti disciplinari. Come noto si tratta di un’attività attribuita dalla legge in via esclusiva agli ordini professionali. Il disegno di legge invece introduce l’iniziativa disciplinare anche in capo al procuratore della repubblica, oltre ad estendere ulteriormente i poteri esecutivi del Garante.

TUTTO CIO’ PREMESSO

In relazione al testo del ddl presentato alla Camera, l’Unci chiede le seguenti modifiche:
* cancellare l’articolo 2 comma 1 (modifiche al 114 cpp, disciplina del segreto degli atti);
* eliminare il seguente comma 3 (iniziative disciplinari del procuratore nei confronti dei giornalisti);
* eliminare l’articolo 10 (modifiche dell’art. 329 cpp: divieto di pubblicazione di atti e attività di indagine anche dopo la cessazione del segreto);
* art.13 (Modifiche al codice penale):
i) art 379 bis: rivelazione di segreti del procedimento penale: escludere espressamente gli "esercenti la professione giornalistica" stante la formula equivoca (conoscenza dei segreti "in ragione del proprio ufficio o servizio"), eliminare la previsione del delitto anche a titolo colposo;L’intervento legislativo ad iniziativa del Governo in materia di rapporto tra segreto processuale e diritto di cronaca presenta aspetti ad alta criticità.

L’approccio del legislatore appare orientato a privilegiare unicamente i diritti di presunta privacy delle persone indagate, e trascura invece del tutto le esigenze di trasparenza del processo (principio di civiltà, prima ancora che giuridico e costituzionale), oltre a quelle relative al diritto/dovere di cronaca.
Una premessa storica è necessaria per inquadrare l’esito, ad oggi, del dibattito politico/parlamentare. L’intervento legislativo è stato preparato da una prospettazione mediatica secondo cui, per finalità scandalistiche prima ancora che informative, sarebbero state compiute numerose, palesi e intollerabili “violazioni del segreto” d’indagine.
Si tratta di un’affermazione falsa.
Ad eccezione di pochi episodi marchiani (peraltro già perseguibili e punibili con la disciplina vigente) gli atti sulle grandi inchieste politico/sportive/finanziarie degli ultimi tre anni sono stati pubblicati senza alcuna violazione di legge, trattandosi di atti depositati, quasi sempre tra l’altro ai sensi dell’art 415bis cpp (atto di chiusura d’indagine preliminare), e quindi “doppiamente” dissecretati , perché conosciuti dalle parti coinvolte e perché  conclusivi dell’inchiesta.
Scardinare il principio secondo cui gli atti “definitivi” di indagine escono dal circuito segreto della magistratura inquirente (e quindi sono nella disponibilità delle parti, e pertanto sono pubblicabili) porta a una grave e irrimediabile deviazione dalle garanzie poste a tutela del cittadino indagato (superfluo ricordare qui che i processi secretati hanno caratterizzato i regimi totalitari del secolo scorso).
Una lettura di sistema e non parziale dei Codici e un’occhiata ai lavori preparatori rendono chiaro e incontestabile che:
* il segreto di indagine è finalizzato alla semplice e sola tutela dell’indagine stessa
* la trasparenza degli atti e dell’attività di indagine è strutturata come una garanzia dell’indagato (si veda per tutti l’art 329.3 par a) del cpp, che subordina l’estensione del segreto chiesta dal pubblico ministero al consenso dell’indagato)

Fatte queste premesse, non si può ignorare che la pubblicazione delle grandi inchieste abbia coinvolto episodicamente anche terze persone estranee, e fatti non pertinenti. Ma questo, come noto, è dovuto alla mole degli atti contenuti nelle ordinanze di custodia cautelare e nei provvedimenti cautelari di natura patrimoniale richiesti da alcune Procure e adottati dai competenti Gip.
In particolare tali documenti, redatti con il ricorso indiscriminato al copia e incolla, hanno finito per contenere una quantità di dati che, ammesso fossero utili alla formazione del convincimento del giudice, certo erano eccedenti rispetto alle loro finalità giuridiche e procedimentali.
A completare l’opera di eccessi, poi, non è mancato il sostegno di alcune frange della stampa, responsabili, se non di illeciti penali, quantomeno di violazioni alla deontologia professionale (come tali perseguibili) e di lesioni di diritti individuali (molto spesso, peraltro, già azionati in sede civile).
Tuttavia per limitare gli abusi senza alterare l’equilibrio delicatissimo tra diritti individuali (di rispetto della dignità, e non già della privacy, che a fronte della sospetta commissione di un reato viene notevolmente ridotta per effetto della reazione sociale al fatto antigiuridico: si considerino  p.es. ipotesi di omicidio, rapina, sequestro, terrorismo, violenza sessuale) e diritti costituzionali (all’informazione) appare sufficiente intervenire sulla disciplina di produzione degli atti prima del loro deposito.
Pertanto è del tutto condivisibile la prospettata modifica dell’art. 292 cpp, laddove si prevede che il Gip non possa più inserire la trascrizione delle intercettazioni telefoniche nell’ordinanza di applicazione della custodia cautelare, salvo ovviamente il dovere di motivare la misura con il richiamo sintetico ai suoi contenuti.
Sono invece da respingere con forza i tentativi di delimitare i confini del diritto/dovere di cronaca con interventi legislativi al limite della legittimità costituzionale. L’innalzamento delle pene per la pubblicazione arbitraria di atti (684cp) è del tutto spropositata, versando per di più in ambito di contravvenzioni penali, e neppure di delitti.
Allo stesso modo appare di fatto censoria l’introduzione della responsabilità penale dell’ente (cioè dell’azienda editrice) con un’analogia del tutto fuorviante rispetto alle fattispecie ispiratrice della legge 231/2001; questa era stata calibrata sul fatto illecito del management e su tipologie di illecito ad alto contenuto di dolo o di colpa: nulla a che vedere, quindi, con l’esercizio del diritto costituzionale di cui i giornalisti sono portatori.

Vale la pena ricordare che la tutela giurisdizionale per le persone offese da violazione di privacy (ma anche diffamazione) commesse attraverso la stampa già opera, e con risultati non trascurabili, sul piano civilistico, attraverso azioni di risarcimento patrimoniale. Su questo piano – cioè di contenzioso privato - è corretto che vengano mantenuti l’equilibrio e i correttivi dinamici ad eventuali errori e abusi; il rango equivalente dei diritti in gioco, tutti di livello costituzionale, non consente di operare una scelta discriminatoria, tanto più attraverso una legge ordinaria.
In ultimo l’Unci sottolinea il persistere – aggravato nel ddl in esame - delle anomale interferenze di altri poteri nella gestione degli illeciti disciplinari. Come noto si tratta di un’attività attribuita dalla legge in via esclusiva agli ordini professionali. Il disegno di legge invece introduce l’iniziativa disciplinare anche in capo al procuratore della repubblica, oltre ad estendere ulteriormente i poteri esecutivi del Garante.

TUTTO CIO’ PREMESSO

In relazione al testo del ddl presentato alla Camera, l’Unci chiede le seguenti modifiche:

* cancellare l’articolo 2 comma 1 (modifiche al 114 cpp, disciplina del segreto degli atti);
* eliminare il seguente comma 3 (iniziative disciplinari del procuratore nei confronti dei giornalisti);
* eliminare l’articolo 10 (modifiche dell’art. 329 cpp: divieto di pubblicazione di atti e attività di indagine anche dopo la cessazione del segreto);
* art.13 (Modifiche al codice penale):
i) art 379 bis: rivelazione di segreti del procedimento penale: escludere espressamente gli "esercenti la professione giornalistica" stante la formula equivoca (conoscenza dei segreti <in ragione del proprio ufficio o servizio>), eliminare la previsione del delitto anche a titolo colposo
ii) abrogazione del paragrafo d) (innalzamento delle pene pecuniarie e detentive per la pubblicazione abusiva di atti del procedimento)
iii) modifiche al paragrafo e) (pene per la pubblicazione di conversazioni telefoniche, traffico telefonico, riprese audiovisive): sanzioni solo se si tratta di comunicazioni di cui è stata ordinata la distruzione. In alternativa riconduzione della fattispecie al vigente art. del 684 codice penale

Articolo 14 (responsabilità penale della società editrice): abrogazione
Articolo 17 (poteri del Garante della privacy): cancellazione dei commi 1.a) e 1.c)"


 

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